Io aspetto…

Facciamo che questa storia non sia vera, perché se non fosse vera io ora non starei pensando a questo da giorni, fingendo che vada tutto bene mentre non è così.

Facciamo che io non stia controllando ogni 20 minuti il mio account IG per verificare se ci sono nuovi messaggi, che ovviamente non ci sono, e che la mia testa sia veramente focalizzata sulle urgenze, priorità e “disastri” quotidiani che ci tirano per la giacchetta dalla mattina alla sera. Facciamo che sia così, altrimenti io divento pazza.

Altrimenti io devo trovare una diavolo di ragione per la quale all’inizio di marzo mi è venuta la malaugurata idea di scrivere a una perfetta sconosciuta, della quale sapevo solo che era brava, anzi bravissima con l’uncinetto. La seguivo perché sul suo profilo c’erano dei capolavori. Per lo più amirugumi, che sono poi le bamboline fatte all’uncinetto che si chiamano così perché è il Giappone che le ha fatte diventare famose nel mondo da qualche anno. Anche io le facevo, ma non così belle. Tra i miei lavori e quelli pubblicati su quell’account c’è la differenza fra la maestra e l’allieva. Io copio, seguo i pattern, qualche volta mi azzardo a fare qualche modifica creativa, ma di solito ne escono risultati un po’ discutibili, con testoni enormi o pancione storte. No, io sto nel mio, e seguo gli schemi. Invece la persona che gestiva quell’account non li seguiva gli schemi: lei li creava. Ed era anche parecchio dissacrante nelle sue produzioni. Mi ricordo una serie di suorine all’uncinetto (che mi ero messa fra i preferiti perché la struttura del velo poteva tornarmi utile da copiare) a cui era seguita una serie di opere per San Valentino con cuori trasformati in culi e simpatici condom con gli occhi sornioni e un palloncino a forma di cuore. Simpatica. Sfrontata. Bravissima. Bravissima e bellissima, perché alla fine, cercando nel profilo, avevo trovato una sua foto. Una ragazza bruna, con gli occhi grandi e dolci, zigomi alti che le scolpivano il viso, una figura sottile senza essere esile. Bella, elegante, direi nobile. Si chiamava Anna (non è il suo nome. Meglio evitare). Un nome che la collocava ovunque nel mondo. E per un tempo imprecisato, tutto questo per me non ha avuto un significato particolare. Un account carino fra i mille account carini che si seguono senza un vero perché, scelti fra gli altri per un sorriso strappato, per un promemoria da tenere, per vedere se ti segue a sua volta.

Fino al 28 febbraio 2022.

Il 28 febbraio erano 4 giorni che in Ucraina era scoppiato l’inferno.

Dall’account dell’uncinetto viene postata una storia diversa. Anna è ucraina. Anna è in guerra.

E a questo punto facciamo pure finta che io non le abbia scritto un messaggio per dirle che le ero vicina in questa che doveva essere, per forza, una cosa orribile ma passeggera… dai… nel 2022 cosa cazzo fai la guerra… “volevo dirti che il mondo si sta muovendo… che siamo con voi…” – come se queste frase del cazzo servissero a qualcosa se ti devi nascondere in cantina sperando che non ti caschi addosso la casa.

Perchè le avrei scritto? Non lo so. Non pensavo che mi rispondesse. Non pensavo niente. Pensavo che sarebbe stato un messaggio di passaggio, uno di quelli che si mandano… i social sono quella cosa lì… sono rumore… sono vuoti… credevo…

E invece lei ha risposto, e io poi ancora, e lei poi ancora. La città è Melitopol, che lei definisce “The gate to Crimea”. Melitopol, una città che non avevo mai sentito, che confondevo con le altre sulla cartina del tg che riportava i movimenti di truppe, e che all’improvviso diventa tridimensionale, all’improvviso pulsa sul video del televisore, all’improvviso piange. Per capirci, è la città in cui hanno rapito il primo sindaco ucraino, che è sparito per giorni, ed è fra quelle cadute sotto il controllo russo fra le prime. Lei mi scrive che i russi hanno tolto la bandiera dal municipio e hanno messo la loro. Io non ci posso pensare. Sul mio municipio non so neanche se c’è la bandiera. Devo andare a vedere per essere sicura. Eppure ora mi immaginavo lei, nella piazza… quelle piazze sterminate dell’est, che guarda verso il tetto del suo municipio dove non c’è più la bandiera gialla e azzurra che nel frattempo è apparsa ovunque nel resto del mondo. “Guarda, la tua bandiera è sul castello davanti a casa mia” sto per scriverle, ma poi mi fermo… perché dovrebbe farle piacere? Le scrivo a cadenza regolare. Lei spesso non risponde subito. “Non abbiamo connessione, scusa”. Scusa… chiede scusa a me. E io mi sento piccola, inutile, e senza senso.

“Ho visto che fanno dei pullman in cui mettono la nostra gente e la portano via.” Cosa rispondi a una frase come questa? Non ci sono frasi adatte. Solo un peso sul cuore che non va più via. ” Io sto bene. E’ solo mia mamma che ha qualche problema con le medicine. Aspettiamo gli aiuti umanitari”. E io sono qui che non posso fare niente: posso solo mandare vestiti, comprare medicine alla cieca, donare a conti correnti a caso, incapace di fare l’unica cosa che vorrei fare, e cioè mandare quelle maledette scatolette di medicine a una persona precisa che non so come raggiungere…

“Hanno spento tutti i nostri canali tv, e li hanno sostituiti con quelli russi”. Mi rendo conto che in una tragedia come quella che sta vivendo l’Ucraina, verrebbe da dire che i canali tv non siano la priorità, ma io penso a quanto invece sia tremenda l’azione di annullare tutto quello che fino a ieri era la tua fonte di informazioni, di riconoscimento, anche solo di abitudine, e di sbatterti in faccia la narrazione nella quale tu non esisti, la guerra non c’è, la tua cultura non c’è, tu non ci sei. Non sei mai esistito. Non importa se esisterai ancora. Sarai assorbito, annullato, cancellato. I giovani hanno internet, ok – dove ancora si può usare senza venire tracciati e intercettati – ma quelli meno giovani? Vostra mamma, vostra nonna, cosa farebbero se togliessero loro tutti i canali tv?

Anna ha una bambina. Non ha neanche tre anni. In un raro momento di connessione, e forse di calma, posta una sua foto ai giardinetti, su una giostrina. Il post è un augurio alla bimba per poter tornare alla normalità. Le scrivo che è bellissima. Lei mi ringrazia. Era il 21 marzo. Da allora non risponde più.

Facciamo che me la sono inventata questa storia, così posso anche inventarmi un finale in cui semplicemente lei si è stufata di questa tizia che le scrive dall’altra parte dell’Europa, e ha liberamente deciso di smettere di rispondermi. Ma sì… deve essere così… Sta bene, ma non ha più voglia di perdere tempo con me… Poi magari la connessione… ecco… la connessione… farà fatica a trovarla e giustamente la usa per qualcosa di più utile che rispondere a me… ma sì… sarà sicuramente così… E poi non è più sicuro scrivere… ti tracciano… meglio evitare… L’ho sentito anche nel podcast di Cecilia Sala sulla guerra.. lo dice anche lei che per comunicare con le persone nei territori russi ci vogliono app molto più sicure di Instagram. È sicuramente per questo… Nel dubbio, io controllo i messaggi.

Anna, io aspetto… Appena puoi, se puoi… sono qui…

Photo by Mick De Paola on Unsplash

PS: Anna ha risposto. Sta bene grazie al cielo. Era come speravo… era colpa della connessione. Sono rimasti sostanzialmente privi di accesso per settimane, ma alla fine una finestra si è aperta. Stiamo parlando. Spero che quella finestra rimanga aperta e che tra poco non sia un’eccezione. Basta… davvero…

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